Titolo: "Motel Woodstock" (di Ang Lee)
Sottotitolo: Flower powder
Allora, dove eravate nella mitica summer of love, summer of ’69? A mettere petunie nei vostri capelli, esibendo il pollice in direzione San Francisco? A zonzo in cerca di qualcuno da amare, magari con un aiutino da parte de li amici? Sì vabbè, potrei continuare ad oltranza ma voi non eravate neanche nati, i soliti outsiders… Consolatevi pensando che colui al quale si deve tutto l’ambaradan stava per mancare a sua volta l’appuntamento… meno male che l’azienda di famiglia era al collasso e che il nostro mast’e fest’, il timido Elliot, fu costretto a tornare dalle prodezze del Village alla verde provincia di Milka, stato di New York -tante mucche e latte al cioccolato, ma soprattutto un tugurio da riabbracciare. E siffatto tugurio, di nome Sonia e di professione mamma, quando affida al rampollo le sorti del “motel” avito (tu chiamalo -per prenotare- se vuoi su cauzione) e mica se lo immagina che invece di una decina di famiglie teutoniche con le calzette nei sandali ti arriva un mezzo milione di hippies sex drugs rock’n’roll peace and love secondo te pago il biglietto? Infatti la tre giorni di crapula fumogena più famosa della storia (a parte quella per festeggiare l’inutile genetliaco di Kate Moss, al grido di “cosa ho fatto per meritarmi questa notizia”), scaturita dai fini di incerta illuminazione universale e certissimo lucro di un fasullissimo capellone (salmodiante beceri filosofemi tutto il tempo) e dei suoi scagnozzi incravattati, si risolse grazie ad un equivoco, ingenerato dal nostro eroe, in un fantasmagorico festival gratuito -e poi ti credo che non trovo più parcheggio per il bovino davanti alla fattoria… Per fortuna non tutti i Figli dell’Amore Eterno alloggiano a casa Teichberg, nonostante l’occhiuta Sonia, mostruosa Scrooge in gonnella, provi a sistemare sacchi a pelo pure sui ripiani del frigorifero, lasciando all’ottima Vilma, il trans che tutti vorrebbero come personal guru, la gestione di qualche ‘ntecchia di disordine creativo. Ma, se non te ne fossi accorto, caro Elliot, siamo a Woodstock, calati qualcosa pure tu (oltre alle mutande, già prontamente abbandonate sul giaciglio di uno strafighissimo carpentiere- sì, ho detto carpentiere, santi numi delle fantasie sessuali)… ma sì, fammi aprire due o tre porte della percezione, sperando che mammà non cambi la serratura. E mentre invece donna (?) Sonia sperimenta con babbo e con soddisfazione una nuova ricetta per i cookies (no, non la trovate sui libri di suor Germana), the times, beh, they are a-changin’. A rimanere, poco più che fango a sufficienza per svariate my generation e uno sbuffo di sogni belli, cuciti per la coda ai magoni. Epperò, Elliot, chapeau.
SinteticaMente: Cari cinefedeli, se avete a mente l’imprescindibile documentario di Michael Wadleigh, sappiate che qui ritroverete solo l’uso dello split screen: per quanto bizzarro, in “Motel Woodstock” di musica non c’è neppure l’ombra -ciò nonostante, Ang Lee, sulla scorta dell’autobiografia di Elliot Tiber, struttura un’opera più che riuscita, ironica e mai scontata. Grande cast, su tutti Imelda Staunton, il mio regno per un posto letto… da Oscar.
Consigliato: a chi fa il tipo “free” perché va in campeggio e poi infila nel trolley (…) l’amuchina.
1 commento:
... per dirla troisianamente, scusate il ritardo...
ps per i rassegnarcisti: su "lebanon" ho esercitato il diritto alla recensione preventiva - dopo dieci ore di sfracassante giornata lavorativa, uno entra in un (per carità, capolavoro di) carrarmato e patapim e patapam...no grazie, il libanese mi rende nervosa...
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