03/03/10

lo cunto di de cunto

Problemi con la zia


E cosa volete che ci faccia? E’ forse meno strambo ingoiare fumo pestifero e letale, o riversare le proprie ansie sopra bignè alla crema, e mangiare, mangiare, fino a ritrovarsi vecchi elefanti col colesterolo? O sbronzarsi ogni sera, coltivare collezioni porno, spendere in frivolezze……Ognuno ha il suo vizio.
Il mio, per come la vedo, è uno dei meno dannosi. Certo, a volte le mie gengive avrebbero da ridire; ma di sicuro non morirò giovane per il vizio di rosicchiar penne!
Non so perché…..si sa, i bambini mettono in bocca tutto ciò che passa loro per le mani…..non so perché io non ho smesso mai. E’ il mio modo per scaricare il nervosismo…. Boh. Una volta lessi un articolo, tipo su una rivista di psicologia, che diceva che mettersi in bocca penne, matite ecc. è una sorta di surrogato della poppata dal seno materno…Mica mi convince sto fatto.
E non mi venite a dire che poi la “povera zia” è un persona “così amorevole”. Vecchia stronza!
E’ una storia che mi tormenta un po’, però. Già alle elementari le bambine mi schifavano, perché sbavavo tutto attorno alle matite, o mi ingoiavo i tappini delle bic. A scuola davvero davo il massimo! Quando dovevo essere interrogato il mio pacchetto da venti penne al giorno me lo facevo! Non mi seccate, lo so che non è bello. Ma mica lo faccio apposta, è più forte di me. Non riuscirei mai a smettere.
Con le donne è sempre stato un problema, dicevo. Al di là della ripugnanza che poteva causare. Se penso alle mie prime esperienze sessuali……Un incubo!
Avevo 16 anni, e la mia ragazza aveva la casa libera. Aspettavamo da tempo l’occasione, io lo vivevo come un grande evento, un’ iniziazione. Ero teso come una corda di violino accordata un ottava più su! Lo sapevo che non dovevo fare cazzate. Salivo le scale e mi mangiavo le unghie. Lei mi aprì la porta con quella sua tutina elastica, di cotone leggero, che glielo avevo detto io di mettersela perché mi arrapava un sacco…..comunque, non voglio divagare. Andammo nella sua cameretta, e io sudavo come un porco, e avrei voluto avere almeno un mozzoncino di matita, un gessetto….ma non dovevo fare cazzate. Lei si stese sul suo lettino rosa…..sembrava una bambina porca…io sudavo sempre di più. Si tolse la maglietta e cacciò quei suoi meloncini…..Madonna, ancora adesso, se ci penso…..Scusate se intanto mi faccio una rosicchiatina. Si tolse i pantaloni e rimase in mutandine. Io stavo in piedi fisso davanti a lei, sull’ orlo di una crisi epilettica, che non riuscivo a muovere un muscolo.
E pensavo “devi fare qualcosa! Toccala, baciala, sfiorale un capezzolo, o il sedere, la pancia, il viso, almeno un piede, diamine!!” ma ero troppo teso….Dio che delitto orrendo…..non dovevo fare cazzate….ma ero troppo teso, mi stava salendo la rota, ero insicuro, non sapevo che dovevo fare - aiuto! - ,lei era così tranquilla, così soda, così rosa porcellosa…..Tutti quei bei pastelli colorati……. Io volevo avvicinarmi a lei……che peccato!……..stavo camminando dritto, ma non so proprio come successe…….io camminavo dritto, e invece andavo verso sinistra……verso quei pastelli! Lei tentò di scongiurare il peggio, si alzò dal letto, ma io ero troppo vicino, e troppo assatanato, si lanciò su di me come una portiera in un estremo tentativo di salvarli, ma io ero già lì, che orrore, che li mordevo a tre a tre, e mi spapocchiavo la faccia di rosa e di verde, con uno sguardo da maniaco, e sentivo lei che urlava, e io avanti a rosicchiare come una bestia predatrice, perversamente assetata di rosso carminio, e sentivo la sua voce rimbombare nella mia testa, e piangere, piangere, piangere, piangere………Che orrore!
Non ebbi più il coraggio di farmi rivedere da lei.
Ma arriviamo al punto. In ufficio con me, c’era questa Bollami, la “donna cammello”, come la chiamavamo io e Cafasso, che mi faceva proprio sbroccare! La classica impiegata tutta di un petto, taglie forti e occhialini da ninfomane. Mi portavo la scorta di penne da casa, quelle rivestite di gomma, così erano più morbide, perché quando passava incominciavo ad agitarmi tutto.
In realtà non era solo un’attrazione fisica. Per la Bollami avevo proprio una cotta. Ma, lo sapete, a causa dei miei precedenti con le donne ero il più insicuro e il più imbranato dei corteggiatori, e non riuscivo a trovare il coraggio di invitarla ad uscire. Tuttavia qualcosa dovevo pur fare, e su di lei, in un certo senso, ci facevo affidamento. Cominciavo ad avere una certa età, non avevo tempo da perdere!
Mia zia ha sempre avuto una capacità innata di farmi incazzare (che poi, veramente, non è neanche mia zia, ma una mia prozia, la sorella di mio nonno). Da quando avevo due anni; che veniva e mi pizzicava la guancia con due dita a tenaglia, e io lì a torturarmi i dentini! Io non so che c’ha. Appena la vedo mi saltano i nervi, divento un castoro. E’ invadente, maldestra, petulante, rumorosa, con quella sua voce stridula da 300 watt! Ricordo il mio compleanno di sette anni. “Ti aiuto ad accendere le candeline, cara” disse a mia madre, e due secondi dopo ero con i capelli in fiamme. Mi portarono dal dentista per scrostarmi la cera dai denti. O quella volta al matrimonio di zia Dora, che si mise a ballare come un tricheco qual è con Mario il salumiere, mi cadde addosso e mi spezzò un braccio. Fortuna che c’ erano solo grissini.
Insomma, zia Giovanna non l’ ho mai potuta soffrire.
E mo’ s’era fissata che dovevo farle il 740, perché doveva dichiarare le rendite dei terreni in campagna (che le fruttavano un sacco di soldi, tra l’ altro). Io glielo avevo detto, “va bene, vieni a casa però”, che vi immaginate in ufficio che figure di merda mi faceva fare, casomai davanti alla Bollami. E lei “Ma no, in ufficio hai tutto l’ occorrente”, e io “ E che occorrente mi serve per il 740?”, e lei “Sì, ma se c’è qualche problema, magari chiedi consiglio a un collega”, e io “ Guarda che il 740 lo so fare”, e lei “Ma non si sa mai”, e io “Guarda che ne faccio a centinaia”, e lei “Dai, non ho mai visto il tuo ufficio”, e io “Non ti permettere di venire in ufficio o te lo faccio vedere io il 740!”.
Il giorno dopo venne in ufficio.
Appena la intravidi dalla porta a vetri, mi scattò il braccio al porta-pastelli. Che stronza! E poi incominciò lo show. Entrò preceduta dalle sue risa fragorose e immotivate. “Buongiorno, buongiorno, AH AH AH AH, buongiorno a tutti, sono la zia di Luigi, AH AH”. Che cazzo aveva da ridere, quel mostro di Lockness! Poi si mise a fare la scema con Cafasso. Che vergogna. “Che bell’ uomo!” andava dicendo, quella cretina. Cafasso era tra l’ imbarazzato e il divertito, e soprattutto moriva dalla voglia di sfottermi. Io rosicchiavo con la testa nascosta sotto la scrivania. “Oh, io scherzo. Chissà con quante belle donne avrà il piacere di passare il tempo! Ah, beata gioventù…..perché non convince anche il mio Luigino a trovarsi una ragazza……sa, la gente può pensar male!”. Dovevamo fare in fretta con quel 740. Primo perché non sapevo per quanto tempo avrei retto, che già mi sanguinavano le gengive. Secondo perché stavano finendo le penne. Ma soprattutto perché se ne doveva andare prima che arrivasse la Bollami.
In quel momento entrò la Bollami e venne a sistemarsi accanto a me, per fare delle fotocopie.
Zia Giovanna la squadrò e, rivolgendosi a me, con uno sguardo che nelle sue intenzioni voleva essere di complicità, sussurrò ad altissima voce “Quella lì troverebbe marito prima se indossasse maglie meno scollate!”.
Con la faccia sinistra mandai alla Bollami uno sguardo costernato che implorava pietà; con la faccia destra scagliai sulla zia uno sguardo d’odio e rimprovero, nel vano tentativo di chetarla. Tutto ciò con una penna nera in bocca.
Lei si sedette alla scrivania di fronte a me e prese a pizzicarmi la guancia. “Che bella guanciotta il mio Luigino! Che tesoro! Aiuta la vecchia zia……pì pì pì pì”
Era troppo. Continuavo a divorare la penna senza più controllo, come posseduto, attirando su di me l’ attenzione dell’ ufficio intero. La Bollami si era girata e mi scrutava con preoccupazione. D’un tratto la penna scoppiò, e mi ritrovai con l’inchiostro alla gola. Non riuscivo a respirare, l’inchiostro si appiccicava alle pareti di faringe e laringe e mi strozzava. Cominciai a tossire sputando nero. Sulla gonna della Bollami. “Oh dio Luigi, salvatelo” gridava mia zia, mentre perdevo inchiostro dal naso. Io sbavavo, boccheggiavo e mi aggrappavo alle cosce della Bollami, che stava lì senza sapere che pesci prendere. Cominciai a vomitare dal naso. Cacciavo vomito dal naso e inchiostro dalla bocca. Un mostro mitologico. Tutto ciò, naturalmente, sulla Bollami.
Insomma, dovetti pure cambiare ufficio.
Mi sembra ovvio che la reazione più normale ad una situazione del genere è quella di decidere di uccidere la propria zia. E fu infatti la reazione che ebbi.
La prima occasione mi capitò pochi giorni dopo. Era il compleanno di Claudia, mia cugina. In ogni occasione di riunione familiare, dovete sapere, la padrona di casa non può omettere di far trovare a zia Giovanna almeno un babbà imbottito di marmellata di mirtilli ( che schifo). A lei piacciono troppo, ed è diventata una tradizione familiare.
Mi procurai del cianuro.
Insomma stavamo discorrendo in salotto, con tutti i parenti, e io mi sentivo eccezionalmente allegro per una situazione del genere, pregustando il momento del dolce. Quando ad un tratto si sentì un urlo agghiacciante provenire dalla cucina.
Era Sara, la figlia di Claudia, che piangeva e strepitava con il capo pendulo di Gerardo, il ragazzo, raccolto sulle ginocchia. Mi doveva capitare l’ orso Yogi tra le scatole! Quel fesso era stato pescato con le mani nella marmellata.
Avevo preso le mie precauzioni, e quindi non fui scoperto. Ma intanto la zia era salva.
Comunque, non mi diedi per vinto. La zia viveva sola, così pensai che non c’era modo più agevole per sbarazzarmi di lei che intrufolarmi nel suo appartamento di notte, come un ladro, con guanti, passamontagna e tutto, e strozzarla. Feci di nascosto il duplicato delle sue chiavi di casa.
Mi sentivo allo stesso tempo angosciato ed esaltato, mentre la chiave scivolava nella serratura. Avrei voluto avere con me qualche matita; ma non avevo squarci nel passamontagna e non potevo rosicchiare niente, se non il passamontagna stesso.Non feci in tempo ad aprire. Che idiota, questa volta era proprio colpa mia. Mi ero scordato di Titillo, l’ orribile chiwawa di mia zia, che abbaiava come un alano.
Mentre stavo lì impalato, senza decidermi ad entrare o a scappare, desideroso di pastello, la porta dell’ appartamento di fronte si aprì. Che potevo mai fare? Spinsi indietro quel poveraccio nel suo appartamento richiudendomi la porta alle spalle. Una strage. Marito, moglie e tre figli. E la stronza non si era neanche svegliata!
Dopo quel tentativo seguirono innumerevoli altri. Tutti falliti. Ero esasperatissimo. La vecchia aveva un culo incredibile. Cominciavo a perdere i denti.
L’episodio più clamoroso fu quando mi rivolsi alla camorra. Sborsai decine di milioni. La zia doveva andare fuori città per una visita medica, e mio cugino Flavio la accompagnava in macchina. Mi stava sulle palle anche lui, ma in fondo era innocente, per cui mi dispiaceva doverlo sacrificare. Pazienza.
Era un congegno perfetto. Dopo la prima ora di viaggio la macchina sarebbe saltata in aria.
La bomba scoppiò in autogrill, davanti alla pompa di benzina. 23 morti e 48 feriti. La zia naturalmente era scesa a fare pipì.
Sono stato incolpato per 34 omicidi, ma in realtà ne ho commessi 47. Mi sono beccato 25 ergastoli. Sono più di 40 anni che sto qui dentro. Ormai di quelli che conoscevo prima di entrare in galera non ne è rimasto in vita nessuno, o quasi.
Zia Giovanna ora ha 103 anni, scoppia di salute e viene a trovarmi ogni giorno. E’ l’unica che comprende il mio animo gentile, nonostante tutto, dice. Io chiedo solo di morire. Non ho più neanche denti miei, e le penne mi sono proibite, perché potrebbero essere un oggetto pericoloso in mano ad un individuo come me, dicono.
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