25/10/11

Le conseguenze del dolly

This must be the place - di Paolo Sorrentino

Sorrentino è diventato grande; bigger than life almeno quanto gli orizzonti delle Grandi Vallate, delle praterie, delle terre su cui è sempre tutta campagna e dove una volta sorgevano i cimiteri indiani.
Fa un viaggio catartico, il nostro affezionatissimo, uguale e contrario al suo alter ego Cheyenne. Tanto il primo si allontana dalle suggestioni nazionalpopolari per compiere il suo rito di passaggio all’età adulta, quanto il secondo ritorna alla patria avita per confrontarsi inevitabilmente e freudianamente con suo padre e pagare il dazio dei conti in sospeso di quest'ultimo.
Tuttavia la perdita dell’innocenza dei due presta il fianco a simbolismi pronto cassa che sacrificano la fruibilità dell'azione a sostegno del "significato", a personaggi pregni di energia caricaturale e incorniciati da movimenti di macchina un po' manieristici e irritanti.
Per assurdo il contorno da cartolina della provincia americana (i "monumenti" improbabili, il bisonte, il vecchio pellerossa silenzioso, le higway deserte e i pick-up, la fiducia malriposta e la guerra e la morte nel sottofondo della solitudine) e dell’olocausto, diventando il fine e non il mezzo di una troppo spiccata autoreferenzialità, si trasformano in un linguaggio assai poco comunicativo con lo spettatore. Sia intermini stilistici che narrativi.

Spiace per questo Manhattan con mezzo Lexotan.
Tanto più, quanto più era alto l’investimento in termini di aspettative.
O forse proprio per quello.



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1 commento:

grace ha detto...

Non l'ho ancora visto!!Prima vedo poi leggo!