Ernesto Razzano | Marcello Serino
L’intervista definitiva
“Come faremo ad uscire da questo fiume di merda puliti e profumati?
Cavalcheremo le nostre migliori intenzioni?“
massimo volume
Capitolo uno. L’artista
Le sette di sera è il momento migliore per farsi la barba, la luce perde d’intensità e diventa sincera, riesco a definire meglio il contorno dei baffi, sono più felice così. Sono questi i momenti in cui riesco a pensare meglio alle leonesse che sbranano poveri cuccioli di giraffe, ho l’ispirazione, tutto qua. Ma loro non si accontentano, vogliono che dietro ci sia qualcos’altro, e allora invento anche quello. Ma nella mia testa continuo a pensare alla lama del mio rasoio preferito ormai più che trentenne, regalo di qualche padre amorevole al proprio figlio con la voce mutata, comprato per poco più di due bottiglie di buon gin dal mio antiquario all’angolo. Prima finzione.
Christine non risponde più a quel cazzo di telefono. Ho il suo liquore preferito nello stipo della cucina, l’ho comprato solo per farla sorridere, ne beve giusto un po’ e dopo tocca a me portare a termine la bottiglia. Mi sbronza apposta, lo so, la lascio fare, ma lei non sa che prima che arrivi sono già sbronzo, col mio di liquore preferito. E’ una guerra unilaterale, ma almeno vinco io. A lei do il gusto della supremazia. L’importante è mettersi poi a letto contenti entrambi, e senza le mutande. Forse dovrei chiamare Greta, con lei è tutto più semplice, non c’è nessuna guerra, e poi ha dei bei fianchi. Seconda finzione.
Ognuno ha il suo grido ma ognuno ascolta quello che gli pare. Terza finzione.
Ed eccomi qua, ancora una volta, la seconda. La prima ero solo in prova. Poteva venire meglio, alla fine è venuta, ha salutato, ha fatto un po’ di scena e così, senza salutare, è andata. Questa mi pare migliore, ho poca cognizione di quello che mi succede intorno. E’ il contesto che è fuori luogo, non io. Ancora pochi minuti e sarà finita, potrò andare anche io ad aspettare la fine del mondo su un isola lontana come quel cantante di tanti anni fa, credo sia ancora là. Quarta finzione.
Spero di invecchiare prima di morire, almeno capirei l’idiozia dei vecchi. Sarei uno di loro, un coglione come loro, con la faccia distrutta da troppa figa e con la pelle resa dolce dal poco amore. Forse dovevo farmi accompagnare da Christine a questo appuntamento, la sua voce e il suo viso avrebbero di sicuro disarmato l’arroganza di quel coglione e lo avrebbero messo al suo posto. Mi piace Christine, se avesse dieci anni in più avremmo avuto un altro rapporto, l’avrei presentata a mia madre, avrebbero parlato per ore del mio carattere e alla fine si sarebbero bevute un’intera bottiglia di vino ridendo della mia stupidità. Adesso è mia, solo mia, per il momento, ma non è lei che mi sta aspettando, e non è da lui che voglio andare. Sesta finzione.
Sono ancora sconvolto da quello che mi è accaduto l’altra sera, un povero esagitato, sconvolto dal mio recente cambio di stile, ha provato a pugnalarmi alle spalle, è stato incredibile vedere la sua faccia quando ha realizzato che io non ho spalle. Un ottimo trucco per perdenti come lui. In compenso ho un ottima fantasia, gli ho distrutto la faccia a furia di cantare canzoni dei Nirvana. Settima finzione.
E se non ci andassi? Voglio dire, non è necessario essere sempre presenti agli altri, a volte anche un minimo d’assenza aiuta se stessi e fa sentire meglio il mondo. Ma di me non vogliono l’assenza, sono l’agnello sacrificale, il pollo allo spiedo, le patate le mettono loro, sono bravi nel contorno, è l’unica che riescono a fare. E’ l’unica cosa che gli è concessa fare, grazie a Dio. Ottava finzione.
Prima di andare a scuola mia madre mi faceva ingerire quantità spropositate di pane inzuppato nel latte, diceva che mi avrebbe aiutato a tirare avanti nella giungla della scuola. Prima di ogni esibizione il mio manager mi fa ingollare quantità spropositate di gin da due soldi, dice che l’alcool scadente aiuta a non pensare chi si ha intorno, il problema è tutto interno. I miei due maestri di vita. Fortunatamente non bevo più latte. E mia madre non è più il mio manager. Nona finzione.
Ma quando cazzo arriva? Decima finzione.
Capitolo due. L’altro
Erano riusciti a portare la musica fin dentro le orecchie, stipata e costretta come se sorgesse dall’interno del corpo. L’avevano pensata bene, senza interferenze, senza rumori a rompere i flussi sonori. L’orecchio beveva suoni, e tutt'intorno di gesso. Potevano anche morire tutti, c’era bisogno di qualche secondo per accorgersene. Eppure per mettere a punto le giunture degli auricolari ci sono voluti lustri. Intermittenze che per anni si sono alternate a bestemmie quando ci si ritrovava con in mano cuffie che pompavano silenzio. Poi la soluzione, la meno eco-compatibile col portafogli, paghi e la qualità migliora. Due canaline di plastica ti sparano in endovena quante canzoni vuoi, hanno plastificato la parabolica fin dentro la tromba di Eustachio. Ma da un po’ di tempo a questa parte c’è anche la soluzione XXL, come al McDonald, due cuffie come quelle di Gagarin nello spazio, a prova di traffico e di metropolitana. Inizialmente status symbol di calciatori privilegiati che ne fanno sfoggio alla discesa dal pullman prima di una delle tante partite decisive per tutti noi. Ora oggetto del desiderio anche del portiere del palazzo di fronte che a leggere il Corriere della Sera ci perde solo la vista.
Andare a correre per mantenersi in forma prevede un grosso sacrificio per molti. Inserire un impegno simile in una giornata completamente vuota non è cosa facile. Davvero. Presuppone un certo spirito di ricerca. E se poi si sbaglia la play list dell’Ipod? Meglio non pensarci, sarebbe un disastro, una buona play list fa dimagrire, in sintesi. E non perdiamo tempo a scegliere le scarpe più adatte, quelle che aiutano la postura, che fanno bene insomma... ma bene a cosa? Senza Ipod non si va da nessuna parte!
La soluzione non era continuare con lo stereo mangiacassette anche in macchina, ma era diventata una cosa vintage per gli altri e io non avevo trovato il tempo, negli ultimi quindici, anni di sostituirlo con un lettore cd, che poi ormai non è più di moda, superato dal lettore mp3, e tra una distrazione e una botta di pigrizia la “musicassetta” è di nuovo “cool”. Nonostante per molti questa volta sia stato io ad anticipare i tempi, io mi sento ancora in grosso ritardo, tanto da pensare di installare finalmente un lettore cd. Me lo merito!
Cazzo ma io non posso perdere tempo a pensare queste cose! C’è il lavoro prima di tutto! Devo andare a intervistare uno bravo, so tutto di lui e non so come fare per porre domande di cui sono certo di conoscere già le risposte. Potrei farla da solo l’intervista, potrei rispondere io alle domande. Ma non è giusto, e poi sicuramente dirà cose interessanti, magari ne sono successe altre ultimamente. Avevo preso qualche appunto ma per rileggerlo avevo bisogno di corrente o di batteria, certo a pensarci sarebbe bastata carta e penna, o la memoria, la mia. Ma che colpa ne ho se è cambiato tutto nel frattempo? Pagine intere di A e di U a scuola, il gambo della p fatto a dovere, gli accenti, le troppe vocali che non vanno insieme. E l’inchiostro, attento per anni a non sporcarmi perché le penne scoppiano, ora invece quando sono piene si mettono nel computer che ne succhia il nettare. Insomma un casino, una generazione di mezzo, che vedeva le partite di calcio per pochi minuti a settimana con le mischie furibonde nelle pozzanghere davanti ai portieri, e ora invece sembra di essere permanentemente in uno stadio dove inizia una partita ogni due ore. Conosco anche i colpi di mercato della squadra di Shangai in anteprima!!
Insomma come si scrive adesso? come si pensa? Da che parte si guarda? Per correre bisogna stare fermi e avere la corrente. Avere la corrente è fondamentale, è la discriminante più importante col medioevo insieme alle fogne.
Io le domande le avevo pensate, tirate fuori da tasti ammucchiati, scritte e rilette, c’era la curiosità e lo scherzo, c’era la voglia di conoscere. Certo l’avessi intervistato qualche tempo fa un pizzico di entusiasmo in più mi avrebbe aiutato. Ora invece mi faceva piacere, ma niente di più forse, eppure l’emozione restava. Per me soprattutto. Perché non l’avrebbe comunque letta nessuno. Un dialogo tra due sfigati pubblicato sul web!! Che culo! Non eravamo neanche su una barca a vela, tra delfini sullo sfondo avvezzi alle telecamere, e cameriere part time salite da Atlantide. Dovevamo vederci in una biblioteca. Aveva il bar con il miglior whisky della zona, mi aveva detto lui. Mica cazzi! Io non bevo e magari sottovaluto, ma se bevo forse, dopo un po’ sopravvaluto. Ero per strada ormai, mancava poco all’incontro. E poi chi l’aveva detto che quello era il miglior whisky della zona?! Ne presi un paio nei bar lì intorno.
Si ficcarono tra la gola e i pensieri in un attimo.
Avevo le domande tutte in testa, le risposte però dovevo appuntarle da qualche parte. Volevo registrare l’audio, ma non avevo le pile. Ok dovevo appuntarmi a penna le sue parole e poi ricostruire tutto, ma non avrei potuto guardarlo in faccia a capire se diceva la verità. Oppure avrei dovuto avere un portatile con me, e scrivere su un foglio word, di quelli che non disboscano, dicono, ma non l’avevo. Un altro whiskey perché ancora non percepivo la differenza. Quanto tempo avevo ancora? Caduto in disuso l’orologio, col cellulare scarico dovrei prestare orecchio al campanile del duomo, ma suona ancora? La luce era quella del tardo pomeriggio, forse c’eravamo quasi, un altro whiskey, ma giusto per vedere l’orologio del bar. 15 minuti ancora.
Che incontro sarebbe stato? Io sapevo moltissimo di lui, e lui di me nemmeno l’esistenza, d’altra parte le esistenze sconosciute quanto meno fanno numero, rendono popolari le altre. Comunque un incontro strano, non certo affiatato come quello del rhum col babà! Ma non si aspirava a tanto.
Mi avrebbero pagato forse venti euro per questa intervista, e col whisky che avevo in mano ne avevo spesi già ventuno solo per arrivarci. Non è etico. Ma pare fermentato bene. Lui è un tipo introverso secondo me, non secondo altri. Ma contavano i miei sentimenti in quell’intervista, le mie sensazioni. Sono il filtro emotivo per chi leggerà. Sono il software che aprirà le porte alla conoscenza di un artista di tal fatta. A lui che importa?! il lavoro sporco devo farlo io. Raccontarlo senza snaturarlo, renderlo affascinante ma non troppo, altrimenti diventa antipatico, misterioso ma disponibile a svelare il mistero. Insomma ve lo racconto meglio di come farebbe lui da solo. Quanto avrei voluto che in passato qualcun altro avesse fatto questo per avvicinarmi ai miei miti. Ora lo faccio io e per gente che non conosco, ci sono tanti me che leggeranno. Ma ce ne saranno poi? Interesserà?
Ecco, ci siamo. Non mi presento con un whisky, magari lo berremo dopo, insieme. Sarà gentile? Chissà. Una somma di bicchieri fa una bottiglia, in liquido. Non colgo la differenza, tra le varie marche, semplicemente perché fino a oggi non ho mai bevuto whisky. Mi ha salutato, sorridente, gentile, disponibile credo, o comunque ben disposto, io sono riuscito a fargli una sola domanda “ma come fai a essere così tranquillo tutto il giorno? Come pensi? come guardi l’ora? Vai a correre? hai un Ipod? Dimmi! non so se interesserà a qualcuno ma a me interessa e molto”. La risposta non fu la sua, ma la mia, a mezza bocca, andandomene, senza astio, un paio di parole in fila, del tipo “Ma vaffanculo va!”.
Nessun commento:
Posta un commento