Nel 1982 io era appena nata, l’Italia festeggiava la coppa del mondo e Berlino aveva un bel muro, neanche troppo alto, nel mezzo della sua storia. Oggi questo muro non c’è, ma ci sono ancora due Berlino.
A est si paga con le monetine, a ovest circolano spesso banconote; perché a ovest si lavora, a est si prende il sussidio. A ovest si indossa la giacca; a est due maglioni fatti ai ferri domenica scorsa. A ovest "siamo competitivi"; a est “finirà la pacchia!”. E un po’ è vero...se non consideriamo i lavoratori delle cinque del mattino, in tuta blu e silenzio! Gli stessi lavoratori si ritrovarono, appena dopo la caduta del muro, spaesati e senza abitudini, punti di riferimento e orari fissi; e nonostante questo, si rimboccarono maniche e intenzioni, per uscire dai loro ventotto anni senza frutta, vecchi amici, calze e pochi eccessi.
Il 9 novembre del 2009 non c’era molta gente in giro, per l’anniversario della caduta del muro.
O meglio... c’era molta gente, ma erano solo turisti, curiosi e vecchi nostalgici.
Pochi berlinesi e molti presentatori arrampicati su auto e veicoli, con i piedi sulle sedie e la testa bagnata; e poi la sottoscritta, qualche amico coraggioso, la pioggia incessante (che può rompere una macchina fotografica senza difficoltà), e la nostra insana inclinazione a non dimenticare.
Ma dimenticare poi cosa? Tutto quello che c’è dall’altra parte.
Sono convinta che la quantità di felicità sia standard, e che la ripartizione di questa felicità sia personale.
Siamo privi di qualcosa perché abbiamo qualcos’altro, in eccesso. Insomma... il problema della felicità è una distribuzione sbagliata dei desideri, ostacolata da una visuale ridotta. Potremmo studiare meglio la geografia dei nostri interni, aggirare la semplicità ed eliminare l’angoscia di poter essere realmente così simili agli altri. Potremmo.
Il Muro di Berlino ha esaltato l’Ego dell’ovest e indebolito l’Io dell’est; da una parte la coscienza di essere privilegiati e moderni, dall’altra solo un gregge gigantesco di sfortuna condivisa.
Eppure il motore della macchina tedesca era formato da quelli che, agli occhi di tutto il mondo, non erano che poveri ingranaggi arrugginiti.
Questo est arrugginito fa parte di noi; è quella bellezza inespressa che viene fuori quando si vive per anni all’ombra di un muro, nell’umidità di chi è allontanato e perfino additato.
Il muro ha segnato Berlino, ma allo stesso tempo l‘ha salvaguardata e protetta; l’ha protetta dal concetto di “inculiamo il prossimo appena possibile” e l’ha chiusa dentro una bolla d’ingenuità devastante. Berlino est conserva ancora oggi, in alcuni luoghi e in alcune persone, i caratteri fisiognomici di un bambino; la capacità di buttarsi nelle cose; l’incoscienza così lontana dalla complessità, che troppe volte ci pesa.
Ma un muro è comunque un muro; una gabbia di piume, di volontà in embrione e di troppi “viviamo tranquilli nel nostro piccolo mondo”.
Quanto dura un’illusione? Quanto la gioia di una liberazione improvvisa.
Quanto dura per ognuno di noi?
Ognuno ha dentro di sè questo muro grigio, alto 3 metri e molte speranze.
L’attitudine a superare il muro, che divide quello che siamo realmente da quello che cerchiamo di essere, è legata allo spessore delle nostre paure; alle vicende che ci sono accadute, ai materiali utilizzati per la costruzione delle nostre barriere; ai controlli rigidi che il modo di vedere corrente compie sulle nostre sicurezze.
Conosco molte storie di persone che hanno superato questi muri, molti racconti (tirati con le pinze) di carne e filo, di catapulte fatte di cesti e volontà, di giorni passati a scavare con la pala e la voglia.
Sono forse il triplo le storie di chi continuava, e continua ogni giorno, a fare la vita che aveva sempre fatto.
Perché un limite c’è solo se lo vediamo.
Ci manca ciò che ci piace e non possediamo, ciò che respiravamo e non qui, ciò che avevamo e non abbiamo.
A Berlino ovest non manca l’est. A Berlino est non manca l'ovest.
E se ti tolgono qualcosa a cui non tieni... perché protestare? Può essere un sollievo.
Pare che il muro di Berlino sia stato costruito in una sola notte; io a volte tiro su muri in 5 minuti; un mio amico non ne ha mai visto uno (vanta un comportamento lineare e privo di dubbi); mia cugina ne ha innalzato uno per difendersi dalle aspettative, ma è caduto senza motivo.
Alcuni muri vengono giù, così.
Io attendo, e intanto progetto tentativi di fuga dai frequenti colpi di testa, passeggio sull’impazienza (mi accade di sabato), e poi immagino.
Perché al di là da quello che vogliamo essere per gli altri, al di là di quello che vorremmo essere per noi stessi, al di là delle mitragliette orientate verso le sincerità trattenute e le parole da controllare, c’è sempre quell’est che tutti noi dovremmo essere.
Appena venti anni dalla caduta del muro di Berlino.
3 mesi dall’ultima volta che pensavamo di essere innamorati.
4 giorni dall’ultima volta che siamo caduti sul ghiaccio, di nuovo.
4 commenti:
questo post vale 10 puntate di porta a porta dedicate all'argomento...
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1989.
sette anni
sulle guance
e una giungla
di stupore.
come quando
non servivano gli oroscopi
e il terremoto
una giostra senza dislivelli.
ci trascina
questo tempo
e senza vento
ci rovina.
"com'è-bel-la-bambolina-col-baschetto-rosso"
"com'è-bel-la-bambolina-col-baschetto-rosso"
nei Quartieri
epoche di domino
come nel quartiere nazi.
e la gente e la gente
precipita.
faccio un salto nel cuore
una buca d'inchiostro
le parole senza corso legale.
wie lange ist jetzt?
ti aspetto nei pugni
con la voce che addensa
il tuo est il mio ovest
è dovunque.
molto bello e davvero commovente...
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