20/05/10

Il tuo gioco di squadra



Marco è un ragazzo sincero e trasparente. Due parole difficili che porta in dono a tutte le persone che incontra. Seduti sugli spalti dello stadio Santa Colomba guardiamo insieme la partitella del giovedì. Io ho una videocamera in mano, Marco una penna. Non ho mai capito niente di calcio, faccio domande stupide, ma lui non me lo fa pesare. Passa in rassegna tutti i giocatori descrivendone posizione e indicandoli col dito per facilitarne la comprensione. “Cejas, lo vedi quello lì, con i capelli lunghi. Ha iniziato il campionato male. Avrà qualche problema in questo periodo. Anche Castaldo è strano, pensieroso. Una delle punte di questa squadra andrà via, chissà chi e soprattutto quando…?”. Badare all’umore. E’ la forza della sua analisi. Doti tecniche sempre ben salde nella mente ma secondarie rispetto al classico “fattore psicologico”. Un quaderno e una penna, dicevo. Appunti. Righe su righe. Getti di inchiostro ricolmi di passione per il calcio e lo sport di squadra, il suo preferito. Vuole vedere il Benevento in B, costi quel che costi. I numeri ci sono tutti e le speranze pure. Il direttore sportivo, il presidente e tutto l’entourage siedono nell’anello superiore dello stadio. Alle loro spalle giornalisti e sostenitori si aggirano come iene attorno alla carogna. Marco è giù, seduto sui gradoni di cemento dell’anello inferiore. Mi fa un cenno con la mano appena arrivo. Maglia rossa, sorriso smagliante, schiocco di baci e mano ben stretta alla mia a mezz’aria. Grande accoglienza. Tre giorni fa era a letto, oggi è già operativo. Si confronterà dopo con i suoi colleghi e con il suo fedele punto di riferimento: il direttore sportivo Mariotto. Il nome viene spesso pronunciato come una filastrocca, la voce cade sulla prima “O” e suona le due TT come una musica. Evacuo arranca sulla fascia. Marco segue la sua faticosa corsa come un cecchino in attesa della sua preda. Vuole capire. Non ha voglia di scrivere un risultato a penna. Vuole sapere il motivo per cui quell’attaccante non ha voglia di correre. “Tutti a pensare ad Evacuo, mah… è Clemente la carta giusta per entrare in B, guarda come sta in forma!”. Come i grandi giornalisti non perde di vista l’ambiente in cui si trova. Alla nostra sinistra pensionati e perdigiorno pronti a bofonchiare ad ogni tiro sbagliato. “Va a’ zappààà!”. Quella frase rimbomba sulle gradinate. Marco sorride. Erano giorni che non vedeva la sua squadra giocare. Oggi vuole sforzarsi, vuole dare importanza ai particolari per dare l’impressione al lettore di essere stato lì accanto a lui. Potrebbe scambiare opinioni con i veterani del mestiere, e invece no. Parla con me. E’ il concetto dell’altruismo. Mettersi nei panni dell’altro. Ho difficoltà a seguire l’allenamento, non conosco regole, ma nemmeno i ruoli, i giocatori e le loro qualità. Marco descrive tutto minuziosamente per farmi capire. Una missione. E’ questo che mi ha insegnato quella persona. La cristianità, quella vera. La carità, quella vera. Mettersi nei panni dell’altro quando è in difficoltà. Sempre. Anche davanti alle banalità.
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3 commenti:

andrej ha detto...

In questo modo le persone restano vive.
Non è facile cogliere tra le righe, in piccoli dettagli, la bellezza di un mondo personale e provare a dischiuderlo agli altri. Certe volte con la scrittura è possibile. Grazie, Lorenzo.

Isabella s.p.a. ha detto...

la cosa più bella che hai scritto...

patrizio ha detto...

molto bella