Quanti secoli di teatro si attraversano guardando l’“Arlecchino servitore di due padroni”? Dalla commedia dell’arte a Goldoni a Streheler, dal teatro del mondo al mondo del teatro.
Uno spettacolo che appassiona nella sua semplicità, un perimetro teatrale che non coincide con la scena ma è uno spazio all’interno di una rappresentazione in cui attori e personaggi si confondono: attorno alle tavole di legno e alla tenda dipinta che fa da scenografia i personaggi, finite le loro battute, rientrano nei panni di semplici attori di una compagnia e suggeriscono le battute agli altri, commentano, creano nuovi giochi scenici. La finzione teatrale è del tutto svelata ad un pubblico che viene, talvolta, anche interpellato.
Vi sono ancora le maschere della commedia dell’arte, ma c’è il testo e non più il canovaccio, c’è il classico conflitto vecchi/giovani e quello padroni/servitori, entrambi stemperati dalla leggerezza dei toni e della trama, c’è la coppia (doppia in questo caso) che deve affrontare degli ostacoli prima di veder coronato il proprio sogno d’amore e c’è l’allusione al sesso e il richiamo al bisogno primario del cibo, c’è la classe borghese allora emergente e la classe popolare che con furbizia riesce a giostrarsi nelle difficoltà quotidiane, c’è il travestimento in virtù tanto della graduale emancipazione femminile quanto del “a teatro tutto è permesso” e le categorie sociali e di genere possono confondersi fino allo scioglimento finale che vede tutti ritornare nel ruolo concessogli dalla società. E ci sono la lingua del popolo e quella della borghesia ma anche i diversi accenti di un’Italia ancora divisa.
La messa in scena attuale è di Ferruccio Soleri, tutt’oggi funambolico ed ironico interprete di Arlecchino (lo è dal 1963!). Il tempo sembra non essere passato per questo spettacolo in scena per la regia di Streheler dal 1947. Ma non sembra essere passato nemmeno il tempo di Goldoni e della commedia dell’arte. Le luci della ribalta erano quelle delle candele, la maschera copriva il volto e il riso i piccoli e grandi drammi della vita. La compagnia del Piccolo di Milano con questo spettacolo ci ha restituito tre ore di storia del teatro ma soprattutto la leggerezza e la semplicità che oggi dimentichiamo troppo spesso di rappresentare sulle scene delle nostre quotidianità.
3 commenti:
Hai ragione!
Nella valle da cui vengo io la leggerezza la proponiamo come reazione al peso di vivere.
La cerchiamo ogni sabato notte e quando l'abbiamo trovata, la utilizziamo per scriverci le fiabe e per farci salti e capriole.
Se ne vuoi un pò passa da me che te ne do un barattolino.
Credo che più si senta il peso di vivere più si affini la capacità di alleggerirne il carico!Passerò a prendere il tuo magico barattolino e ad ascoltare le tue fiabe :)
Vieni pure cara, ti aspetto
;-)
Posta un commento